ALTERNATIVE VEG A CARNE E LATTE, IL FATTURATO VOLA OLTRE I 600 MILIONI DI EURO

Il banco frigo della grande distribuzione italiana racconta, a colpo d’occhio, la rivoluzione alimentare in corso. Nel 2024 le alternative vegetali a carne, latte e formaggi hanno sfondato quota 639 milioni di euro di vendite: +7,6 % sul 2023 e +16,4 % sul 2022. Nel 2023 questo gruppo di alimenti si fermava a 641 milioni. Sono i dati forniti dalla società di ricerche di mercato Circana, analizzati dal think tank The Good Food Institute Europe. Le confezioni passate in cassa crescono del 10 % in un anno e del 13,6 % in due, mentre i volumi salgono del 6,9 %.

Chi pensava a una bolla modaiola dovrà ricredersi. Il latte vegetale, spinto da baristi e cappuccini Instagram-friendly, resta la spina dorsale del settore: vale il 50,7 % del fatturato plant-based e ha già rosicchiato l’8 % del mercato complessivo del latte. Il segreto? Prezzi aggressivi e ricette centrate: oggi più della metà dei brick venduti porta il marchio del supermercato.

Sulla seconda gradinata del podio salgono burger, polpette & co.: le “carni” vegetali coprono il 35,7 % del mercato e tra il 2023 e il 2024 mettono a segno un +14,7 % in valore e +16 % in volume. Non è più solo curiosità da flexitariani: la qualità ha superato la vecchia barriera del “non sa di niente”.

La vera storia, però, la scrive il formaggio: ancora una nicchia, certo, ma capace di un exploit formidabile – +45 % nell’ultimo anno, valore raddoppiato dal 2022. A guidare la corsa sono i brand specializzati, pronti a far pagare senza proteste fette di “gouda” di anacardi o “stracchino” di mandorla. Quando consistenza e sapore convincono, il portafoglio segue docile: il prezzo medio resta alto, ma l’esperienza sensoriale vale più dello sconto.

I numeri segnalano anche la marcia delle private label, +17,4 % in due anni su tutte le categorie vegetali. È la prova di un mercato maturo: i retailer investono in linee proprietarie, i clienti cercano convenienza, ma non a scapito del gusto. Lo sottolinea Francesca Gallelli, policy manager di GFI Europe: “Sempre più italiani scelgono questi prodotti per salute e sostenibilità. Perché il cambiamento duri servono proposte appetitose, nutrienti e alla portata di tutti”.

In altre parole: il prezzo attrae, ma è la bocca che decide. Se il formaggio “plant” fila come quello di malga e la bistecca di soia regge la padella senza trasformarsi in gomma, allora la riduzione dell’impronta ambientale – e il rafforzamento della sovranità alimentare con materie prime locali – diventa un obiettivo concreto.

“Questi numeri confermano perfettamente ciò che viviamo in Biolab: stiamo crescendo a un ritmo del 25‑30% annuo”, ricorda Massimo Santinelli, fondatore e Ceo di Biolab, un’azienda che dal 1991 si è dedicata alla produzione di alimenti a base vegetale. “Il boom delle alternative vegetali a carne e formaggi dimostra che l’iniziale scetticismo sul gusto è ormai superato: oggi il plant‑based è visto anche come una scelta di piacere e non più di rinuncia. Chi si siede a tavola cerca cibi buoni per sé, per gli animali e per il pianeta. Un benessere generale che - sempre di più – incontra anche il piacere del palato”.

Il contesto macro gioca a favore: il costo delle proteine animali rimane esposto a shock climatici e geopolitici. Così la filiera plant-based italiana ha davanti un’autostrada: investire in ricerca sensoriale, educare i palati più scettici e legare le ricette alle coltivazioni nazionali. È lì che passa la vera svolta green: meno emissioni, minor uso di acqua e suolo, maggiore resilienza per un Paese che importa oltre metà dei mangimi per gli allevamenti.

Se il trend reggerà, il prossimo traguardo simbolico – un miliardo di euro di vendite – non è lontano. Ma, come insegna la cucina, il futuro si assaggia prima di comprarlo: gusto, texture e identità territoriale decideranno chi resterà sulla tavola e chi finirà nello scaffale dei ricordi. Il portafoglio, in fondo, vota al banco frigo ogni giorno.

2025-06-12T07:42:49Z