NON CHIAMIAMOLO PROSECCHINO

Ormai è qualche anno che frequento il mondo del vino. Più di qualche, se contiamo anche quelli in cui ero solo un’appassionata. E se c’è una cosa che non sfugge, anche se ti ritrovi nella fase in cui il vino è semplicemente qualcosa che bevi, e non qualcosa che studi, è che niente, niente, nel panorama del vino italiano riesce a essere più divisivo del Prosecco. Il vino più cercato del mondo su Google nel 2020 è oggetto di una diatriba che coinvolge tutte e tutti: il Prosecco, o lo ami, o non lo bevi, mai. Eppure, è ancora il vino italiano più comprato, conosciuto e bevuto al mondo, con i suoi 758 milioni di bottiglie prodotte per un valore di mercato di 4 miliardi di euro (dati CIA Trevisto 2022). La ragione? La sua fama di essere un cheap&easy wine, un vino dal prezzo contenuto, facile, nell’approccio e nella beva, qualcosa che scegli per andare sul sicuro, come quell’amico che ti porti dietro a tutti i matrimoni perché il +1 perfetto esiste ed è quello la cui personalità non ti metterà mai in imbarazzo. E, infatti, il Prosecco è anche il vino più utilizzato come base di molti cocktail ed è il preferito dai più per gli aperitivi estivi, e non solo. Un vino “troppo” easy, dunque, per capirlo e apprezzarlo davvero? In realtà basta grattare appena sotto la superficie per rendersi conto subito che le cose non stanno affatto così e che, anzi, questa sua freschezza e leggerezza è in realtà proprio il suo punto di forza. Accompagnata dall'enologo di una cantina storica e dalle autrici di un libro dedicato proprio alle zone di produzione di questo vino così controverso, ho intrapreso un viaggio attraverso l’anima del Prosecco, a Cartizze, cuore pulsante della denominazione, per capire le tante sfumature e declinazioni di questa tipologia di vino. E sfatare anche qualche falso mito.

Il Prosecco non è (solo) un vino

No, infatti è un territorio e una tipologia di vino che può essere prodotta solo lì, tra il Veneto e il Friuli Venezia Giulia, zona vocata per la coltivazione della glera, il vitigno bianco tipico del nord est italiano utilizzato appunto per il Prosecco. In un territorio così vasto, a fare la differenza è il terroir, cioè l'insieme delle caratteristiche del clima e del terreno, di ciascuna zona di produzione. E non solo, anche le tecniche di vinificazione sono importanti. La prossima volta allora che qualcuno ci chiederà se il Prosecco ci piace o meno, la nostra risposta dovrà necessariamente essere: aspetta, quale? Il Prosecco ha infatti diverse versioni, è Tranquillo, se si presenta senza bolle (!), oppure Frizzante, se presenta una leggera bollicina ottenuta da una seconda fermentazione, oppure Spumante, la versione più conosciuta. Allo stesso modo, il Prosecco Spumante, a seconda della quantità di residuo zuccherino, può presentarsi da “Extra brut”, secco e deciso, fino a “Demi Sec”, più morbido e setoso. Oltre alle tecniche di vinificazione, il Prosecco si distingue anche per zone di produzione. La DOC Prosecco è la più estesa tra le denominazioni e produce in pianura volumi molto elevati a costi di produzione (e vendita) contenuti. La parte che dalla pianura sale verso la collina, tra i paesi di Conegliano e Valdobbiadene, è stata riconosciuta patrimonio mondiale dell’Umanità UNESCO nel 2019 ed è attraversata per 90 km dalla Strada del Prosecco. Sui ripidi pendii di queste colline, la viticoltura si fa eroica, l’uva si coltiva e raccoglie a mano e si producono le DOCG del Prosecco: in particolare, la Conegliano Valdobbiadene Prosecco DOCG e Asolo Prosecco DOCG, accomunate da una lavorazione quasi interamente a mano, danno vini dai sentori fruttati con accentuate note di frutta croccante, erbe aromatiche e agrumi; e la DOCG Valdobbiadene Prosecco Superiore Cartizze, prodotta nel “Pentagono D’oro” del Prosecco - 108 ettari dove 140 produttori coltivano e raccolgono l’uva a mano, garantendo la migliore qualità dei grappoli secondo procedure tramandate di generazione in generazione e dove oggi comprare un ettaro di vigneto può costare anche 1 milione e mezzo di euro - dove il terreno eccezionale, con marne e argille, accentua i sentori freschi e floreali tipici di questo vino.

Un territorio dalle molteplici sfaccettature, identità e storie. Elena Zanardo e Jasmine Cattai Palladin ne hanno individuate ben centoundici nel loro libro 111 luoghi delle Colline del Prosecco che devi proprio scoprire, uscito a ottobre 2022 ed edito da Emons. Le due autrici, nate e cresciute a Conegliano, hanno ripercorso i luoghi più significativi del territorio per narrare le persone, le storie e l’intraprendenza delle comunità grazie a cui il Prosecco, da vino locale e senza troppe pretese, è divenuto lo spumante decantato a livello internazionale. Dai loro racconti emerge chiaramente quanto il Prosecco non sia solo una tipologia di vino, ma anche un luogo in cui le sue genti si riconoscono. Il Prosecco qui è ancora uno di famiglia, mi dicono, e i contadini che vivevano qui già alla fine dell’Ottocento producevano questo vino. In una versione, conosciuta come “vin de botilia”, perché dalla fermentazione spontanea, i lieviti ricadevano sul fondo della bottiglia generando finissime bollicine, lontanissima da quella pulita che conosciamo. Ma che oggi qualche cantina coraggiosa sta riportando in auge.

Il Prosecco un easy wine? Ma anche no

Se è vero che il vino è sintesi di territorio e tecniche produttive, non è dunque sbagliato dire anche che esistono tanti Prosecco quanti sono i suoi produttori e le sue produttrici. Così, per conoscerlo meglio, sono andata a Villa Sandi, cantina storica in cui la famiglia Moretti Polegato produce Prosecco DOC e DOCG da cinque generazioni. "Il Prosecco non è un vino facile da capire. E non è facile neanche da produrre", mi racconta Andrea Mileto, uno degli enologi di Villa Sandi, "perché viene utilizzato il metodo Charmat che richiede un’elevata capacità tecnica per lavorare uve con una componente aromatica importante, come la glera. Noi, per esempio, partiamo dal mosto, dalla materia prima, e lo manteniamo tra -1 e 0 gradi in autoclave. Uno step qualitativo importante che ci consente di mantenere la freschezza olfattiva e gustativa tipica di questa tipologia di vino". Una scelta precisa che consente dunque di mantenere le caratteristiche tipiche del Prosecco, la leggerezza alcolica, l’immediatezza di beva, la bollicina fine e una grande eleganza. E la differenza tra le bottiglie di pregio e quelle più a buon mercato, che spesso troviamo sui tavoli degli eventi estivi, si fa quasi tutta qui.

Grandi produzioni, sì. Ma che siano sostenibili

L’altro grande stereotipo con cui il Prosecco fa i conti è infatti quello di essere un cheap wine, prodotto e venduto a basso costo, con poca attenzione alla qualità e alla sostenibilità. Complici le politiche commerciali di alcuni produttori che hanno iniziato a produrre e commercializzare vini, soprattutto all’estero, a un prezzo e a una qualità inferiore. Come fare allora per prendere le distanze e far capire che non tutti i Prosecco sono uguali, anche dal punto di vista della qualità? Mi risponde sempre Andrea Mileto di Villa Sandi: "Per farlo, secondo me, bisogna puntare sul territorio. I vini, tutti, sono espressione del terroir. Pianura e collina. Temperature differenti. Esposizioni differenti. Danno uve diverse che devono essere trattate in modo diverso, in vigna e in cantina. Rispettando l’ambiente e intervenendo il giusto per esaltarne le proprietà". La sostenibilità, per chi produce Prosecco, oggi non è solo una sfida – di marketing e di produzione -, ma anche un obiettivo. Da marzo 2021 il Consorzio di Tutela del Prosecco DOC ha infatti emanato un protocollo di comportamento che ha la finalità di dare indicazioni pratiche alle cantine per superare il semplice elenco di sostanze consigliate per la gestione del proprio vigneto e consegnare invece nelle loro mani un elenco di pratiche sempre meno impattanti. Le reazioni delle cantine associate sono state tra le più diverse. C'è chi ancora fa le cose "alla vecchia maniera", nella speranza che il mercato continui a restare favorevole, ma c'è anche chi ha scelto di intraprendere percorsi di certificazione biologica per rendere la propria produzione più sostenibile. Poi, come è emerso nel corso dell'ultimo Vinitaly, c'è anche chi sta valutando di uscire dalla denominazione per provare a crescere in un altro modo. Una scelta, quella di restare o andarsene dai grandi brand del vino italiano, che tutti i produttori e le produttrici, soprattutto all’inizio, si pongono e che ha, per ciascuno, una risposta e un valore diverso. Insomma, la strada è stata aperta e bisogna aspettare e vedere che cosa succederà. E intanto premiare chi sceglie di produrre vini più sani e a minor impatto ambientale.

Il Prosecco è un vino da aperitivo. Ma non solo

Grazie alla sua fresca eleganza, quando si parla di Prosecco, si pensa solo all’aperitivo. Ma questo è un altro falso mito. Certamente è una tipologia di vino che ben si presta ai momenti conviviali, ma ciascuna delle sue diverse versioni, per la sua tipicità, trova in realtà il suo abbinamento più adeguato anche ad altri momenti della giornata. Da Villa Sandi assaggio il Prosecco Valdobbiadene DOCG 120 La Rivetta Extra Brut, secco, profumato d’agrume e con sentori erbacei e floreali, perfetto, sì, per l’aperitivo, ma forse ancora di più con piatti ai frutti di mare e di pesce. La versione Asolo Prosecco Superiore DOCG che assaggio subito dopo è più intensa, sia in bocca sia al naso, e per la spiccata mineralità che la caratterizza, la trovo ideale per accompagnare un tagliere di formaggi vaccini freschi e cremosi. La mia degustazione si conclude con il Prosecco Valdobbiadene Superiore di Cartizze DOCG “La Rivetta”, che ha ottenuto i Tre Bicchieri di Gambero Rosso per il tredicesimo anno consecutivo. Un vino le cui uve sono coltivate e raccolte a mano alla Tenuta La Rivetta - la più piccola di Villa Sandi, e la più preziosa perché si trova proprio a Cartizze, sulla punta di un’altura tra Santo Stefano e S. Pietro di Barbozza - dal gusto deciso, una bollicina fine ed elegante, con profumo di frutta gialla e dotata una freschezza prolungata, con una nota agrumata persistente, caratteristiche gusto olfattive che lo rendono perfetto per accompagnare tutto il pasto, dall’aperitivo al dolce.

Prosecco, please! Ma non berlo ghiacciato

Ora che, voi come me, possiamo dire di conoscerlo un po’ meglio, come possiamo avere la certezza di gustare al meglio il prossimo bicchiere di Prosecco che berremo? La tendenza – ahinoi molto italiana – a servire appena uscite dal frigorifero (o dal freezer) tutte le bollicine, non ci fa storcere il naso quando ci vediamo servire ghiacciato anche un bicchiere di Prosecco. Quando, invece, dovremmo mandare indietro il bicchiere. Questo perché il freddo ci impedisce non solo di apprezzare i profumi di un vino, ma anche di cogliere quelle componenti olfattive più volatili che solitamente sono indice di difetti nel bicchiere. Freddo, e fritto, dice mia nonna, è buono tutto. Per gustare il Prosecco al suo meglio, per poterne apprezzare tutti i profumi e avere la certezza che ci è stato servito un vino pulito e privo di difetti, la temperatura di servizio non deve mai scendere sotto i 5-6 gradi né superare i 7-8. Importantissimo, poi, è anche il bicchiere giusto: non il flute, alto e stretto, ma il calice a forma di tulipano, che lascia ai profumi la possibilità di sprigionarsi liberamente dal bicchiere al nostro naso. Posso dire che non basta un bicchiere per capire un vino, così come non ne bastano dieci. Ma così, la prossima volta che ci chiederanno se amiamo o meno il Prosecco, saremo in grado, almeno, di apprezzarlo per quello che è davvero e non per quello che abbiamo sempre creduto che fosse.

2023-05-25T10:39:30Z dg43tfdfdgfd